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Volodyk - Paolini1-Eragon.doc

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Eragon rimase imperturbabile, anche se il suo stomaco si torceva dolorosamente. «Prenderò in considerazione la vostra off erta, ma,..»,

«Aspettiamo la tua risposta per domani. E fa' in modo che sia quella giusta.» Si congedarono con un sorriso gelido e si allontanarono.

Eragon restò dov'era, torvo. Non accetterò mai di unirmi al Du Vrangr Gaia, non m'importa quello che faranno.

Dovresti parlare con Angela, disse Saphira. Lei ha già avuto a che fare con i Gemelli. Forse potrà assistere mentre ti esaminano. In questo modo potrebbe impedire che ti facciano del male. Buona idea. Eragon vagò tra gli scaffali finché non trovò Orik seduto su una panca, intento a lucidare la sua ascia di guerra. «Vorrei tornare alla rocca» gli disse.

Il nano infilò il manico dell'ascia in un passante di pelle che aveva alla cintura, poi scortò Eragon al cancello, dove lo attendeva Saphira. Intorno a lei si era già radunato un folto gruppo di curiosi. Eragon li ignorò, si arrampicò sul dorso della dragonessa, e insieme volarono verso la rocca. Bisogna risolvere il problema alla svelta. Non puoi permettere che i Gemelli ti minaccino, disse Saphira mentre atterrava su Isidar Mithrim.

Lo so. Ma vorrei evitare di farli arrabbiare. Potrebbero essere nemici molto pericolosi. Smontò in fretta, tenendo la mano su Zar'roc.

Li vuoi forse come alleati?

Eragon scosse il capo. Non proprio... domani dirò loro che non mi unirò al Du Vrangr Gaia. Eragon lasciò Saphira nella sua caverna e decise di fare un giro. Voleva vedere Angela, ma non ricordava la strada per raggiungere il suo nascondiglio, e non c'era Solembum. a guidarlo. Vagò per i corridoi deserti, sperando di incontrare Angela per caso.

Quando cominciava a essere stanco di vedere stanze vuote e grigie pareti tutte uguali, ritornò verso la rocca. Mentre si avvicinava alla caverna, sentì qualcuno che parlava, là dentro. Si fermò per origliare, ma la voce tacque. Saphira? Chi c'è con te?

Una donna...Ha un tono dì comando. La distraggo mentre tu entri. Eragon sganciò l'anello di sicurezza di Zar'roc. Orik ha detto che non ci sarebbero stati intrusi sulla rocca: perciò chi può essere? cercò di controllarsi, poi entrò, la mano alla spada.

Una giovane donna era in piedi al centro della sala e guardava con curiosità Saphira, che aveva fatto capolino dalla grotta. Lo zaffiro stellato emanava una luce rosata che metteva ancora più in risalto la sua carnagione, scura come quella di Ajihad. Indossava un lungo abito di velluto violaceo, dal taglio elegante. Alla cintura portava un pugnale tempestato di gemme in un fodero di cuoio lavorato.

Eragon incrociò le braccia, aspettando che la donna lo notasse. Lei continuò a guardare Saphira, poi fece una graziosa riverenza e chiese. «Di grazia, potresti dirmi dove posso trovare il Cavaliere Eragon?» Gli occhi di Saphira brillarono di malizia.

Con un sorriso, Eragon disse: «Sono qui.»

La donna si voltò di scatto, portando la mano al pugnale. Il suo volto era bellissimo, con gli occhi a mandorla, le labbra carnose e gli zigomi rotondi. Si tranquillizzò e fece un nuovo inchino. «Sono Nasuada» disse.

Eragon accennò un inchino. «È chiaro che sai chi sono, ma che cosa vuoi da me?» Nasuada sorrise in modo incantevole. «Mio padre. Ajihad, ti manda un messaggio. Vuoi ascoltarlo?»

Il capo dei Varden non aveva dato a Eragon l'impressione di essere tagliato per il matrimonio e la paternità. Si domandò chi fosse la madre di Nasuada: doveva essere una donna fuori dal comune per aver attirato l'attenzione di Ajihad. «Naturalmente.»

Nasuada alzò il mento e recitò: «Ajihad è lieto che tutto stia andando bene, ma ti suggerisce di astenerti da azioni clamorose come la benedizione di ieri, poiché creano più problemi di quanti ne risolvano. Inoltre ti prega di sottoporti quanto prima all'esame... gli occorre sapere quali sono le tue capacità prima di mandare messaggi agli elfi.»

«E sei salita fin quassù solo per dirmi questo?» chiese Eragon, pensando alla lunghezza di Voi Turin.

Nasuada scosse il capo. «Ho usato il montacarichi che serve a trasportare le merci ai livelli più alti. Avremmo potuto mandarti il messaggio in un altro modo, ma ho pensato che sarebbe stato meglio consegnartelo di persona, anche per avere modo di conoscerti.»

«Vuoi restare?» chiese Eragon, indicando la grotta di Saphira.

Nasuada diede in una risatina leggera. «No, sono attesa da un'altra parte. Mio padre ti manda a dire anche che puoi far visita a Murtagh, se lo desideri.» Un'espressione pensosa alterò i suoi lineamenti sereni. «Ho conosciuto Murtagh... È ansioso di parlarti. Sembra così solo: dovresti proprio andare a trovarlo.» E spiegò a Eragon come raggiungere la cella di Murtagh.

Eragon la ringraziò per le informazioni, poi chiese: «Notizie di Arya?.Sta meglio? Posso vederla? Orik non ha saputo dirmi molto.»

La giovane sorrise maliziosa. «Arya si sta riprendendo in fretta, come tutti gli elfi. Nessuno può vederla, tranne mio padre. Rothgar e i guaritori. Hanno trascorso molto tempo con lei per sapere che cosa è successo durante la sua prigionia.» I suoi occhi corsero a Saphira. «Ora devo andare. C'è qualcosa che devo riferire a mio padre da parte tua?»

«No, tranne il mio desiderio di vedere Arya. E ringrazialo di tutto cuore per l'ospitalità che ci ha mostrato.»

«Lo farò senz'altro. Addio. Cavaliere Eragon. Spero di rivederti presto.» Si congedò con un inchino e uscì dalla rocca a testa alta.

Se davvero è salita fin quassù solo per incontrarmi... montacarichi o non montacarichi... questo incontro nascondeva di più che qualche chiacchiera, osservò Eragon.

Già, disse Saphira, e ritrasse la testa nella caverna. Eragon si arrampicò da lei e rimase sorpreso nel vedere Solembum acciambellato nell'incavo del collo della dragonessa. Il gatto marinaro faceva le fusa, agitando come un piumino la coda dalla punta nera. I due lo guardarono con insolenza, come per dire: "E allora?"

Eragon scosse il capo e scoppiò a ridere. Saphira, era Solembum che volevi vedere? Entrambi ammiccarono e risposero: Sì.

Tanto per sapere, disse lui, ancora in preda all'ilarità. Aveva la sensazione che i due sarebbero diventati amici: le loro personalità erano molto simili, ed erano entrambe creature magiche. Sospirò, liberandosi di parte della tensione della giornata mentre slacciava Zar'roc. Solembum, sai dov'è Angela? Non sono riuscito a trovarla, e ho bisogno di un consiglio.

Solembum si stiracchiò affondando le zampe nel dorso squamoso di Saphira. È da qualche parte a Tronfheim.

Quanto torna?

Presto.

Quanto presto? domandò impaziente. Devo parlarle oggi stesso.

Non così presto.

Il gatto marinaro si rifiutò di dare altre spiegazioni, malgrado le insistenze di Eragon. Il giovane si arrese e si accovacciò con le spalle appoggiate al fianco di Saphira. Le fusa di Solembum erano un sottofondo regolare, che gli pulsava nella testa. Domani devo, andare da Murtagh, pensò, rigirandosi l’anello di Brom intorno al dito.

LA PROVA DI ARYA

L

a mattina del terzo giorno a Tronjheim, Eragon si alzò riposato, traboccante di nuove energie. Allacciò Zar'roc alla cintura e si mise a tracolla l'arco e la faretra. Dopo un volo esplorativo con Saphira all'interno del Farthen Dùr, incontrò Orik vicino a uno dei quattro cancelli

principali di Tronjheim. Eragon gli chiese di Nasuada.

«Una ragazza straordinaria» commentò Orik con un'occhiata di disapprovazione alla spada. «È profondamente devota a suo padre, e lo aiuta in ogni occasione. Credo che faccia per Ajihad più di quanto lui non sappia... ci sono state volte in cui ha manovrato i suoi nemici senza nemmeno rivelarglielo.»

«Chi è sua madre?»

«Non lo so. Ajihad era solo quando arrivò con Nasuada appena nata qui nel Farthen Dùr. Non ha mai detto da dove venivano.»

E così anche lei è cresciuta senza conoscere sua madre. Scacciò via il triste pensiero. «Mi sento in forma, ma ho bisogno di usare i muscoli. Dove devo andare per questo esame di Ajihad?» Orik indicò il Farthen Dùr. «I campi di addestramento si trovano a mezzo miglio da Tronjheim, anche se da qui non li puoi vedere perché sono alle spalle della città-montagna. È una vasta area dove si allenano sia i nani che gli umani.»

Vengo anch'io, disse Saphira.

Eragon lo riferì a Orik, che si lisciò la barba con aria perplessa. «Forse non è una buona idea. Ci sarà parecchia gente ai campi; potreste attirare troppa attenzione.» Saphira ringhiò. Io vengo! E la questione finì lì.

Il frastuono dei combattimenti li raggiunse ancora prima che arrivassero ai campi: il clangore dell'acciaio contro l'acciaio, i sibili e i tonfi sordi delle frecce scagliate su bersagli imbottiti, i crepitii e gli schiocchi delle aste di legno, e le grida degli uomini impegnati nei duelli di allenamento. Il rumore era confuso, ma ogni gruppo seguiva il proprio ritmo e il proprio schema. La maggior parte del terreno era occupata da un folto gruppo di fanti che lottavano con scudi e alabarde alte quanto un uomo, schierati in formazione. Poco lontano si addestravano centinaia di guerrieri armati di spade, mazze, picche, bastoni, mazzafruste, scudi di ogni forma e dimensione; ce n'era uno che brandiva un forcone. Quasi tutti i combattenti indossavano cotte di maglia ed elmetti rotondi; le armature complete non erano comuni. C'erano tanti nani quanti umani, anche se i due gruppi si tenevano separati. Alle spalle dei guerrieri, una lunga fila di arcieri si allenava a scoccare frecce contro grigi pupazzi imbottiti.

Prima che Eragon avesse il tempo di chiedersi che cosa fare, un uomo barbuto, la testa e le spalle massicce coperte da un lungo cappuccio di maglia, si avvicinò a grandi passi. Il resto del suo corpo era protetto da rozzi indumenti di pelle di bue ancora coperti di peli. Una spada enorme - lunga quasi quanto quella di Eragon - gli pendeva a tracolla. L'uomo scoccò una rapida occhiata a Saphira ed Eragon, come per valutare quanto fossero pericolosi, poi borbottò: «Knurla Orik. Sei stato via un sacco. Non mi è rimasto nessuno per allenarmi.»

Orik sorrise. «Forse perché massacri tutti con quel tuo spadone mostruoso.»

«Tutti tranne te» lo corresse l'altro.

«Questo perché sono più veloce di quel gigante che sei.»

L'uomo guardò di nuovo Eragon. «Mi chiamo Fredric. Ho ricevuto l'ordine di scoprire che cosa sai fare. Quanto sei forte?»

«Forte abbastanza» rispose Eragon. «Devo esserlo, per. poter combattere con la magia.» Fredric scosse il capo; il suo cappuccio tintinnò come un sacchetto di monete. «Qui non c'è posto per la magia. A meno che tu non abbia prestato servizio in un esercito, dubito che tu abbia combattuto per più di qualche minuto. Qui dobbiamo scoprire se sarai in grado di resistere per una battaglia lunga ore, o anche settimane, se ci sarà un assedio. Quali altre armi sai usare, oltre alla spada e all'arco?»

Eragon ci pensò. «Soltanto i pugni.»

«Bella risposta!» rise Fredric. «Bene, cominciamo con il tiro con l'arco. Quando si sarà fatto un po' di spazio nel campo, passeremo...» S'interruppe all'improvviso, il volto corrucciato, lo sguardo fisso oltre le spalle di Eragon.

I Gemelli avanzavano impettiti verso di loro; le teste calve spiccavano pallide sopra i manti purpurei. Orik bofonchiò qualcosa nella propria lingua, mettendo mano all'ascia che teneva infilata nella cintura. «Vi ho detto di stare alla larga dai campi di addestramento» esclamò Fredric, muovendo qualche passo con aria minacciosa. In confronto al suo corpo massiccio, i Gemelli avevano l'aria di fragili fuscelli.

Lo guardarono con arroganza. «Ajihad ci ha ordinato di esaminare le capacità magiche di Eragon... prima che tu lo sfinisca a furia di roteare pezzi di metallo.»

Gli occhi di Fredric lampeggiarono di collera. «Perché non può esaminarlo qualcun altro?» «Nessuno è abbastanza potente» sbuffarono sdegnosi i Gemelli, Saphira emise un cupo brontolio, e dalle narici le salirono spirali di fumo che i Gemelli ignorarono a bella posta. «Seguici» ordinarono a Eragon, e si diressero verso una zona deserta del campo.

Eragon si strinse nelle spalle e obbedì, seguito da Saphira. Dietro di sé, udì Fredric rivolgersi a Orik. «Dobbiamo impedire a quei due di spingersi troppo oltre.»

«Lo so» rispose Orik a bassa voce. «ma non posso ancora intervenire. Rothgar è stato chiaro: non potrà più proteggermi se succede di nuovo.»

Eragon si sforzò di tenere a bada l'apprensione. I Gemelli potevano anche conoscere più parole e tecniche, ma lui ricordava bene quello che gli aveva detto Brom: i Cavalieri sono più forti degli stregoni comuni. Sarebbe bastato questo a contrastare il potere congiunto dei Gemelli? Non preoccuparti; ti aiuterò io, disse Saphira. Anche noi siamo in due. Eragon le sfiorò un fianco, confortato dalle sue parole.

I Gemelli lo guardarono e chiesero: «Qual è la tua risposta, Eragon?» . .

Senza badare alle espressioni sconcertate dei suoi compagni, Eragon si limitò a rispondere un secco no.

Rughe profonde si disegnarono agli angoli della bocca dei Gemelli. Si volsero in modo da controllare Eragon con la coda dell'occhio e si chinarono per tracciare un pentacolo sul terreno. Si misero al centro del simbolo magico e dissero, perentorii «Cominciamo subito. Dovrai compiere le azioni che ti indicheremo. Ecco tutto.»

Uno dei Gemelli frugò sotto il manto, estrasse una pietra levigata grande quanto un pugno e la posò a terra. «Sollevala all'altezza degli occhi»

Questo è facile, commentò Eragon con Saphira. «Stern reisa!» La pietra ondeggiò, poi cominciò a sollevarsi lentamente da terra; ad appena un piede di altezza, un'inaspettata resistenza la bloccò a mezz'aria. Sulle labbra dei Gemelli affiorò un sorriso beffardo. Eragon li guardò infuriato: stavano cercando di ostacolarlo! Se si fosse stancato subito, poi non sarebbe riuscito a compiere azioni più impegnative. I Gemelli erano sicuri che le loro forze combinate lo avrebbero stancato. Ma nemmeno io sono solo, ruggì Eragon tra sé. Saphira, ora! La dragonessa unì la propria mente alla sua, e la pietra balzò in alto, fermandosi tremolante all'altezza dei loro occhi. Lo sguardo dei Gemelli trasudava veleno.


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