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Volodyk - Paolini1-Eragon.doc

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«Ho sentito dire che le loro squame brillavano come gemme.»

Brom si protese in avanti e borbottò: «Hai sentito bene. Erano di ogni forma e colore. Si diceva che un gruppo di draghi avesse l'aspetto di un arcobaleno vivente, sfolgorante, in perenne mutamento. Ma chi te ne ha parlato?»

Eragon ammutolì per un istante, poi mentì. «Un mercante.»

«Come si chiamava?» domandò Brom, le folte sopracciglia corrugate in un'unica striscia bianca, la fronte aggrottata. La brace nella pipa languiva.

Eragon fece finta di riflettere. «Non lo so. Stava parlando da Morn, ma non so chi fosse.» : «Peccato» mormorò Brom.

«Ha detto anche che un Cavaliere poteva sentire i pensieri del suo drago» si affrettò ad aggiungere Eragon, sperando che il suo mercante fittizio lo proteggesse dai sospetti.

Brom socchiuse gli occhi. Con lenti gesti, riprese la scatola con l'acciarino e accese di nuovo la pipa. Si levò un filo di fumo mentre aspirava a fondo ed espirava lentamente. Con voce atona disse: «Non è vero. Nessuna storia ne parla, e io le conosco tutte. Ha detto altro?»

Eragon si strinse nelle spalle. «No.» Brom mostrava troppo interesse per il mercante immaginario. Il ragazzo tentò di sviare il discorso. «I draghi vivevano a lungo?»

Brom non rispose subito. Teneva il mento appoggiato sul petto, meditabondo, mentre le dita tamburellavano stilla pipa e l'anello rifletteva la luce del focolare. «Scusa, stavo pensando ad altro. Sì, un drago vive a lungo, per sempre in effetti, a meno che non venga ucciso e il suo Cavaliere non muoia.»

«Come fai a saperlo?» obiettò Eragon. «Se un drago muore quando muore il suo Cavaliere, allora potrebbe vivere solo fino a sessanta, settantanni. Durante la tua…narrazione, hai detto che i Cavalieri vissero per centinaia di anni, ma questo è impossibile.» Il pensiero di sopravvivere alla sua famiglia e ai suoi amici lo turbava.

Un sorriso indulgente comparve sulle labbra di Brom quando disse: «Che cosa sia possibile o no, è una questione aperta. Alcuni sostengono che non si può viaggiare sulla Grande Dorsale e sopravvivere, ma tu lo fai. Dipende dai punti di vista. Devi essere molto saggio per sapere tante cose alla tua giovane età.» Eragon arrossì e il vecchio ridacchiò. «Non te la prendere; nessuno si aspetta che tu le sappia. Dimentichi che i draghi erano magici, ed esercitavano strane influenze su tutto ciò che li circondava. Grazie alla stretta convivenza, i Cavalieri ne subirono i più vistosi effetti. Il più comune era il prolungamento della vita. Il nostro re è vissuto abbastanza da dimostrarlo, anche se la maggior parte della gente ne attribuisce la causa ai suoi poteri magici. C'erano anche altri cambiamenti, meno evidenti. Tutti i Cavalieri avevano un fisico più resistente, una mente più scaltra e una vista più acuta rispetto agli uomini normali, E i Cavalieri umani col tempo sviluppavano orecchie a punta, anche se non grandi come quelle degli elfi.» Eragon fece appena in tempo a frenare la mano che d'istinto gli saliva alle orecchie. In quale altro modo quel drago cambierà la mia vita? Non solo mi e entrato nella mente, ma anche il mio corpo si trasformerà «I draghi erano intelligenti?»

«Non hai sentito quello che ti ho detto prima?» esclamò Brom, spazientito. «Come avrebbero potuto gli elfi stringere accordi di pace con delle bestie ottuse? Certo che erano intelligenti, come te e me.»

«Ma erano animali» insistette Eragon.

Brom sbuffò. «Non più animali di noi. Per qualche ragione, la gente. esaltava tutto quello che facevano i Cavalieri, ma ignorava i draghi, considerandoli niente più che un esotico mezzo di trasporto. Be', non lo erano. Le grandi gesta dei Cavalieri furono possibili soltanto grazie ai draghi. Quanti uomini avrebbero osato sguainare la spada, sapendo che un lucertolone sputafuoco, con più saggezza e astuzia di quanta perfino un re possa mai sperare di avere, sarebbe arrivato a fermare la violenza? Eh?» Soffiò un altro anello di fumo e lo guardò volar via.

«Ne hai mai visto uno?»

«No» disse Brom. «Scomparvero molto prima della mia epoca.»

E adesso il nome. «Sto cercando di ricordare il nome di un certo drago, ma continua a sfuggirmi. Mi pare di averlo sentito quando sono venuti gli ambulanti a Carvahall, ma non ne sono sicuro. Mi puoi aiutare?»

Brom si strinse nelle spalle ed elencò una serie di nomi. «C'erano Jura. Hìrador, e Fundor, che combatterono contro il gigantesco serpente di mare. Galzra. Briam. Ohen il Gagliardo. Gretiem. Beroan. Roslarb...» Ne aggiunse molti altri. Alla fine ne pronunciò uno a voce talmente bassa che Eragon lo udì appena: «... e Saphira.» Brom svuotò la pipa nel focolare. «Era uno di questi?» «Temo di no» disse Eragon. Brom gli aveva fornito parecchio materiale su cui riflettere, e comunque si stava facendo tardi. «Be', probabilmente Roran ha finito da Horst. Mi dispiace, ma devo andare.»

Brom inarcò un sopracciglio. «Cosa? Tutto qui? Credevo di dover rispondere alle tue domande finché non fosse venuto a chiamarti. Nessuna domanda sulle tattiche di guerra dragonesche, niente descrizioni di combattimenti d'aria mozzafiato? Abbiamo finito?»

«Per il momento» rise. Eragon. «Ho saputo quello che volevo e anche di più.» Si alzò, e Brom lo imitò.

«D'accòrdo, allora.» Accompagnò Eragon alla porta. «Arnvederci e stai bene. E ricorda, se ti torna in mente il nome di quel mercante, fammelo sapere.»

«Contaci, e grazie.» Eragon uscì nell'abbagliante luce invernale e si avviò a passo lento, riflettendo su quello che aveva appreso..

IL POTERE DI UN NOME

S

ulla via del ritorno. Roran disse: «Oggi da Horst c'era uno straniero di Therinsford.» «Chi era?» domandò Eragon. Aggirò una lastra di ghiaccio e continuò a camminare a passo rapido. Le guance e gli occhi gli pizzicavano per il freddo.

«Si chiama Dempton. È venuto da Horst per ordinare dei giunti» disse Roran. Le sue gambe robuste affondarono in un cumulo di neve, spianando la strada a Eragon. «A Therinsford non c'è il fabbro?» «Sì» rispose Roran. «ma non è abbastanza esperto.» Guardò Eragòn di sottecchi e con una scrollata di spalle aggiunse; «Dempton ha bisogno di giunti per il suo mulino. Si vuole espandere e mi ha offerto un lavoro. Se accetto, partirò con lui quando viene a ritirare i giunti.»

I mugnai lavoravano tutto l'anno. Durante l'inverno macinavano tutto quello che la gente portava loro, ma nella stagione del raccolto compravano il grano e lo rivendevano in forma di farina, Era un lavoro duro, pericoloso; spesso qualcuno ci rimetteva le dita o le mani, tra le gigantesche mole. «Lo dirai a Garrow?» domandò Eragon.

«Sì.» Il volto di Roran fu solcato da un sorriso triste.

«A che scopo? Lo sai come la pensa sul fatto che ce ne andiamo. Ti caccerai nei guai, se ne parli. Dimentica questa storia, così stasera potremo mangiare in pace.»

«Non posso. Ho deciso di accettare.»

Eragon si fermò di botto. «Perché?» Erano l'uno di fronte all'altro; i loro fiati formavano nuvolette di condensa. «Lo so che ci mancano i soldi, ma siamo sempre riusciti a cavarcela. Non devi partire.»

«No. Ma i soldi servono a me.» Roran fece per incamminarsi di nuovo, ma Eragon non si mosse. «A cosa ti servono?» chiese.

Roran irrigidì appena le spalle. «Voglio sposarmi.»

Eragon fu stupito e sconcertato. Ricordava il bacio che aveva visto Roran e Katrina scambiarsi quando erano arrivati gli erranti, ma sposarsi? «Katrina?» disse debolmente, come per avere conferma. Roran annuì. «Gliel'hai già chiesto?» .

«Non ancora, ma lo farò in primavera, quando potrò costruirmi una casa.»

«Non puoi partire adesso che c'è tanto lavoro alla fattoria» protestò Eragon. «Aspetta fino alla semina.»

«No» disse Roran, con una leggera risata. «La primavera è il momento in cui c'è più bisogno di me. Bisogna arare e seminare. Togliere le erbacce. Per non parlare di tutto il resto. No, questo è il momento migliore per andarmene, quando non abbiamo altro da fare che aspettare la bella stagione. Tu e Garrow potrete fare a meno di me. Se tutto va bene, tornerò presto a lavorare alla fattoria, con una moglie.»

Eragon fu costretto ad ammettere che Roran aveva ragione. Scosse il capo, senza sapere se per lo stupore o la rabbia. «Immagino di non poter far altro che augurarti buona fortuna. Ma Garrow se ne avrà a male.»

«Vedremo.»

Ripresero a camminare, divisi da una barriera di silenzio. Eragon aveva il cuore in tumulto. Gli ci sarebbe voluto del tempo per abituarsi all'idea. Quando arrivarono a casa. Roran non parlò a Garrow dei suoi progetti, ma Eragon era sicuro che lo avrebbe fatto molto presto.

Eragon andò a trovare il drago per la prima volta da quando la creatura gli aveva parlato. Si avvicinò con apprensione: ormai sapeva quanto erano simili, loro due.

Eragon.

«È tutto quello che sai dire?» ribattè, aspro.

Sì.

Il ragazzo spalancò gli occhi per quell'inattesa risposta, e si sedette imbronciato. Ha anche un certo spirito. E cos'altro? In un moto di rabbia, spezzò un rametto secco con un piede. L'annuncio di Roran lo aveva messo di cattivo umore. Il drago gli comunicò un pensiero interrogativo, e lui gli raccontò che cosa era successo. Via via che parlava, la sua voce aumentava di volume, finché non si ritrovò a gridare al vento. Il monologo durò finché le sue emozioni non si placarono; alla fine picchiò il pugnò sul terreno.

«Non voglio che se ne vada, ecco tutto» disse. Il drago lo guardava impassibile, ascoltando e imparando. Eragon borbottò un paio di invettive e si strofinò gli occhi. Guardò pensieroso il drago. «Ti serve un nome. Oggi ne ho sentiti alcuni, sembravano interessanti; magari ne trovi uno che ti piace.» Con la mente scorse la lista che Brom gli aveva elencato finché non scelse due nomi che trovava particolarmente eroici, nobili e dal suono gradevole. «Che te ne pare di Vanilor o del suo successore, Eridor? Furono entrambi draghi famosi.»

No, disse il drago. Sembrava divertito dai suoi sforzi.

Eragon.

«Quello è il mio nome, non puoi averlo» disse il ragazzo, strofinandosi il mento. «Be', se questi non ti piacciono, ce ne sono degli altri.» Continuò con la lista, ma il drago rifiutava ogni proposta. Sembrava ridere di qualcosa che Eragon non capiva, ma il ragazzo lo ignorò e continuò a suggerire nomi. «C'era Ingothold, che uccise...» Lo folgorò un'illuminazione. Ecco qual è il problema! Ho scelto nomi maschili! Tu sei una lei!

. La dragonessa si lisciò le ali, compiaciuta.

Adesso che sapeva che cosa cercare, Eragon suggerì una mezza dozzina di nomi. Provò con Miremel, ma non andava bene: era il nome di un drago bruno. Anche Opheila e Lenora vennero scartati. Era sul punto di arrendersi quando gli venne in mente l'ultimo nome che Brom aveva mormorato. A lui piaceva, ma alla dragonessa?

Domandò: «Saphira?» Lei ricambiò il suo sguardo con occhi intelligenti. In fondo alla mente, Eragon avvertì la sua approvazione.

. Qualcosa scattò nella sua testa, e la voce di lei riecheggiò come da una grande distanza. Il ragazzo sorrise in risposta. Saphira cominciò a borbottare.

IL FUTURO MUGNAIO

I

l sole era tramontato quando la cena arrivò in tavola.

Fuori ululava un vento impetuoso, che scuoteva la casa. Eragon gettava continue occhiate a Roran, in attesa dell'inevitabile. Alla fine il cugino disse: «Mi è stato offerto un lavoro al mulino

di Therinsford... e credo che accetterò.»

Garrow finì di masticare il boccone con deliberata lentezza e posò la forchetta. Si appoggiò allo schienale della sedia, s'intrecciò le dita dietro la testa e pronunciò un'unica parola: «Perché?» Roran glielo spiegò, mentre Eragon piluccava distrattamente il cibo.

«Capisco» fu il commento asciutto di Garrow. Rimase in silenzio a fissare il soffitto. Nessuno si mosse, in attesa del suo verdetto. «Dunque, quando hai intenzione di partire?»

«Cosa?» esclamò Roran.

Garrow si protese sul tavolo con uno scintillio negli òcchi. «Pensavi che ti avrei fermato? Ho sempre sperato che ti sposassi presto. Così la famiglia riprenderà a crescere. Katrina sarà fortunata, ad avere al suo fianco un uomo come te.» Lo stupore iniziale di Roran lasciò il posto a un gran sorriso di sollievo. «Allora, quando pensi di partire?» ripetè Garrow.

Roran ritrovò la voce. «Quando torna quel Dempton a ritirare i giunti per il mulino.» Garrow annuì. «Ossia fra...»

«Un paio di settimane.»

«Bene. Avremo tempo per prepararci. Sarà diverso, avere la casa solo per noi. Ma se va tutto come deve andare, non sarà per molto.» Guardò Eragon dall'altro lato del tavolo e chiese: «Tu lo sapevi?» Eragon si strinse nelle spalle con aria afflitta. «Non fino a oggi... È una pazzia.»

Garrow si passò una mano sul volto. «È il corso naturale della vita.» Si alzò. «Andrà tutto bene; il tempo aggiusta ogni cosa. Ma per il momento, datemi una mano a sparecchiare.» Eragon e Roran lo aiutarono in silenzio.

I giorni che seguirono furono tesi. Eragon aveva i nervi a fior di pelle. Tranne che per rispondere in fretta alle domande dirette, non parlava con nessuno. Ovunque si voltasse, piccoli ma eloquenti dettagli gli annunciavano rimminente partenza di Roran: Garrow che gli preparava un pacco, oggetti che mancavano alle pareti, e uno strano senso di vuoto che si dilatava dentro la casa. Dopo una settimana si accorse che lui e Roran erano separati da un distacco sempre maggiore:, quando si parlavano, le parole uscivano a fatica e conversare era difficile.

Saphira era un balsamo per la sua delusione. Con lei parlava in libertà, esprimeva le sue emozioni più intime, e lei lo comprendeva meglio di chiunque altro. Nelle settimane prima della partenza di Roran, la dragonessa attraversò un'altra fase di crescita repentina. Le sue spalle superarono quelle di Eragon, e il ragazzo scoprì che l'avvallamento vuoto fra le punte del dorso gli offriva un comodo spazio dove sedersi. Spesso la sera le saliva in groppa e le grattava il collo, spiegandole il significato delle parole. Ben presto la creatura arrivò a capire tutto quello che lui diceva, e spesso lo commentava, anche.

Per Eragon, questa parte della vita era meravigliosa. Saphira era vera e complessa come un essere umano. La sua personalità era eclettica, a volte molto remota, eppure si comprendevano a vicenda a un livello molto profondo. Le azioni e i pensieri della dragonessa rivelavano di continuo nuovi aspetti del suo carattere. Una volta catturò un'aquila e invece di mangiarla la liberò, dicendo: Nessun predatore dei cieli dovrebbe finire i propri giorni da preda. Meglio morire in volo che inchiodati al suolo.


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