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Volodyk - Paolini3-Brisingr

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 Volodyk - Paolini3-Brisingr
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Paolini3-Brisingr
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Eragon aveva passato il resto della giornata a preparare le bisacce, a studiare le mappe dell'Impero con Saphira e a evocare tutti gli incantesimi necessari, come quello per contrastare i tentativi di Galbatorix o dei suoi servi di divinare Roran.

Il mattino dopo, Eragon e Roran erano saliti in groppa a Saphira, che si era subito alzata in volo. Dopo aver bucato la coltre di nubi arancioni che incombeva sulle Pianure Ardenti, la dragonessa aveva virato verso nordest, continuando a volare senza fermarsi finché il sole, attraversato tutto l'arco del cielo, non si era tuffato dietro l'orizzonte in un glorioso tripudio di raggi rossi e gialli.

La prima tappa del viaggio li aveva portati ai confini dell'Impero, in una zona scarsamente abitata. Poi avevano cambiato direzione, volando a ovest verso Dras-Leona e l'Helgrind, continuando a viaggiare di notte per evitare di essere notati da uno dei tanti piccoli villaggi sparsi per la grande pianura che li separava dalla loro meta.

Eragon e Roran erano stati costretti ad avvolgersi in mantelli e pellicce, e a indossare guanti di lana e cappelli di feltro, perché Saphira aveva deciso di volare a un'altezza superiore a quella della maggior parte dei ghiacciai del paese - dove l'aria gelida e rarefatta trafiggeva i polmoni come una pugnalata - di modo che se un contadino intento a curare un agnello malato nel campo o una sentinella dalla vista acuta avessero guardato in alto mentre passava, l'avrebbero scambiata per un'aquila.

Ovunque andassero, Eragon vedeva i segni della guerra imminente: accampamenti di soldati, carri carichi di viveri raggruppati in cerchio per la notte, e file di uomini con collari di ferro, strappati alle loro case per combattere per Galbatorix. La quantità di risorse messe in campo contro di loro era davvero impressionante.

Verso la fine della seconda notte, l'Helgrind era comparso in lontananza: una massa di pinnacoli frastagliati, foschi e sinistri nella livida luce prima dell'alba. Saphira era atterrata nella conca dove si erano accampati, e avevano trascorso dormendo gran parte del giorno precedente alla ricognizione.

Una colonna di scintille ambrate si sprigionò dai carboni che languivano quando Roran vi gettò sopra un ramo secco. Notò lo sguardo di Eragon e si strinse nelle spalle. «Freddo» disse.

Prima che Eragon avesse modo di rispondere, si udì un fruscio prolungato e stridente, simile a quello di una spada sguainata.

Eragon non pensò; si gettò nella direzione opposta, rotolando su se stesso, poi si rialzò, accovacciato, con il bastone di biancospino pronto a parare un colpo in arrivo. Roran fu altrettanto fulmineo. Afferrò lo scudo da terra, balzò dal tronco dov'era seduto ed estrasse il martello dalla cintura, tutto nel giro di pochi secondi.

Rimasero immobili, in attesa di un agguato.

Il cuore martellava nel petto di Eragon e i muscoli gli tremavano per la tensione mentre aguzzava la vista nel buio, in cerca del più piccolo movimento.

Non fiuto niente, disse Saphira.

Quando furono trascorsi alcuni minuti senza che accadesse nulla, Eragon dilatò la mente per controllare l'ambiente circostante. «Nessuno» disse. Poi, attingendo al luogo più profondo del suo essere, da dove scaturiva la magia, mormorò: «Brisingr raudhr!» Un pallido globo di luce rossastra si materializzò a pochi passi da lui e lì rimase a fluttuare, all'altezza degli occhi, riversando nella conca un chiarore liquido. Eragon si spostò appena e il fuoco fatuo imitò il suo movimento, come se fossero collegati da un filo invisibile.

Insieme, Eragon e Roran andarono verso il punto da dove era venuto il rumore, scendendo nella gola stretta e rocciosa che tagliava verso est. Impugnavano le armi lunghe e si fermavano a ogni passo, pronti a difendersi in qualsiasi momento. A circa dieci iarde dal bivacco, Roran fece cenno a Eragon di fermarsi e gli indicò una lastra di ardesia sull'erba che non c'era quando erano passati poco prima. Roran s'inginocchiò e strofinò una scheggia di ardesia più piccola sulla lastra, producendo lo stesso stridore che avevano già udito.

«Dev'essere caduta dall'alto» disse Eragon, esaminando le pareti della gola, e concesse al fuoco fatuo di spegnersi.

Roran annuì e si alzò, spazzolandosi il terriccio dai pantaloni.

Mentre tornava da Saphira, Eragon rifletté sulla rapidità con cui avevano reagito. Sentiva ancora il cuore contratto in un groppo che faceva male a ogni battito, le mani tremanti, il corpo indolenzito come se avesse corso ininterrottamente per miglia e miglia. Non saremmo scattati così, prima, pensò. La ragione della loro prontezza era più che evidente: ogni battaglia aveva eroso parte della loro sicurezza, lasciandosi dietro nient'altro che nervi scoperti, pronti a reagire alla minima sollecitazione.

Roran doveva aver pensato la stessa cosa, perché disse: «Li vedi mai?»

«Chi?»

«Gli uomini che hai ucciso. Li vedi mai nei tuoi sogni?»

«A volte.»

Il bagliore pulsante della brace illuminava il viso di Roran dal basso, disegnandogli dense ombre sulla bocca e sulla fronte, e dando un'aria truce ai suoi occhi infossati sotto le palpebre socchiuse. Parlò lentamente, come se avesse difficoltà a esprimersi. «Non ho mai voluto essere un guerriero. Da ragazzo sognavo combattimenti e gloria, come fanno tutti i maschi a quell'età, ma la terra era la cosa più importante per me. Quella, e la nostra famiglia... E adesso invece ho ucciso... ho ucciso... ho ucciso... e tu più di me.» Il suo sguardo era smarrito in qualcosa di distante che soltanto lui poteva vedere. «Quei due uomini a Narda... Te l'ho mai raccontato?»

Lo aveva già fatto, ma Eragon fece no con la testa e rimase in silenzio.

«C'erano delle guardie al cancello principale... Erano due, e quella a destra aveva i capelli bianchissimi. Me lo ricordo perché non poteva avere più di ventiquattro, venticinque anni. Portavano i colori di Galbatorix, ma parlavano come gente di Narda. Non erano soldati di professione. Probabilmente erano soltanto uomini che avevano deciso di proteggere le proprie case dagli Urgali, dai pirati, dai briganti... Non avremmo alzato un dito contro di loro. Te lo giuro, Eragon, non faceva parte del nostro piano. Ma non ho avuto scelta. Mi hanno riconosciuto. Ho tagliato la gola a quello coi capelli bianchi... È stato come quando papà sgozzava un maiale. E poi l'altro, gli ho spaccato il cranio. Sento ancora le ossa cedere... Ricordo ogni colpo che ho inferto, contro i soldati a Carvahall, contro quelli sulle Pianure Ardenti... Sai, quando chiudo gli occhi a volte non riesco a dormire perché la mia mente è accecata dal bagliore degli incendi che abbiamo appiccato ai magazzini del molo di Teirm. E in quei momenti sono convinto che impazzirò.»

Eragon si accorse di stringere il bastone così forte che le nocche gli si erano sbiancate e i tendini sporgevano dai polsi. «Già» disse. «All'inizio erano solo Urgali, poi uomini e Urgali, e adesso quest'ultima battaglia... So che quello che facciamo è giusto, ma giusto non significa facile. Siccome siamo quello che siamo, i Varden si aspettano che Saphira e io guidiamo l'avanguardia del loro esercito per sterminare interi battaglioni di soldati. Lo facciamo. Dobbiamo.» La sua voce s'incrinò, e il giovane tacque.

Il caos accompagna ogni grande cambiamento, disse Saphira a entrambi. E noi lo abbiamo sperimentato più degli altri, perché siamo agenti del cambiamento stesso. Io sono una dragonessa, e non provo rimorso per la morte di coloro che ci minacciavano. Aver ucciso le guardie a Narda può non essere un'azione di cui andare fieri, ma nemmeno qualcosa per cui sentirsi in colpa. Hai dovuto farlo. Quando sei costretto a combattere, Roran, la gioia feroce della battaglia non ti mette le ali ai piedi? Non senti il piacere di misurarti con un valoroso avversario e la soddisfazione di vedere i corpi dei nemici accatastati ai tuoi piedi? Eragon, tu l'hai provato. Aiutami a spiegarlo a tuo cugino.

Eragon fissava le braci. La dragonessa aveva detto una verità che lui esitava a riconoscere, perché se avesse ammesso che si può provare piacere nella violenza, sarebbe diventato una persona disprezzabile. Così restò muto. Di fronte a lui, Roran sembrava altrettanto turbato.

Con voce più morbida, Saphira disse: Non fate così. Non era mia intenzione farvi arrabbiare... A volte dimentico che non siete ancora abituati a queste emozioni, mentre io ho combattuto con le unghie e con i denti per la sopravvivenza fin dal giorno in cui sono uscita dall'uovo.

Eragon si alzò e si avvicinò alle bisacce, da cui prese il piccolo orcio di terracotta che Orik gli aveva donato prima che partissero. Bevve due lunghi sorsi di idromele di lamponi e si sentì riscaldare lo stomaco. Con un sogghigno, passò l'orcio a Roran, che mandò giù un bel sorso.

Parecchie bevute dopo, quando l'idromele era riuscito nell'impresa di risollevargli l'umore, Eragon disse: «Domani potremmo avere un problema.»

«Che intendi?»

Eragon si rivolse anche a Saphira. «Ricordi quando ho detto che noi... io e Saphira... potevamo affrontare i Ra'zac facilmente?»

«Sì.»

Infatti possiamo, disse Saphira.

«Be', ci stavo pensando mentre tenevamo d'occhio l'Helgrind, e non ne sono più tanto sicuro. Esiste praticamente un numero infinito di modi di fare qualcosa con la magia. Per esempio, se voglio accendere un fuoco, posso farlo col calore ricavato dall'aria o dal terreno; posso creare una fiamma di pura energia; posso attirare un fulmine; posso concentrare un raggio di sole su un punto preciso; posso usare l'attrito, e così via.»

«Quindi?»

«Quindi il problema è: anche se posso ricorrere a differenti incantesimi per svolgere un'azione, per bloccare questi incantesimi basta un solo controincantesimo. Se impedisci all'azione stessa di verificarsi, non sei costretto a formulare il tuo controincantesimo per contrastare le qualità peculiari di ogni singolo incantesimo.»

«Ancora non capisco cosa c'entra questo con domani.»

Io sì, disse Saphira a entrambi. Aveva afferrato al volo le implicazioni. Vuol dire che nel corso degli ultimi cento anni Galbatorix...

«... potrebbe aver messo delle difese intorno ai Ra'zac...»

...

che li proteggono da...

«... una vasta gamma di incantesimi. Probabilmente non mi sarà possibile...»

... ucciderli con nessuna...

«... delle parole di morte che mi sono state insegnate, né...»

... con attacchi magici improvvisati sul momento. Potremmo...

«... dover fare affidamento...»

«Basta!» esclamò Roran, con un sorriso sofferente. «Basta, vi prego. Mi viene il mal di testa quando fate così.»

Eragon rimase a bocca aperta: fino a quel momento non si era reso conto che lui e Saphira stavano parlando a turno. Da una parte, quella novità gli fece piacere perché indicava un livello superiore di intesa: agivano come un'entità unica che li rendeva molto più potenti di quanto non fossero ciascuno per sé. Dall'altra però lo turbava, perché una simile affinità, per sua stessa natura, riduceva l'individualità di ciascuno.

Richiuse la bocca e ridacchiò. «Scusa. Ciò che mi preoccupa è questo: se Galbatorix è stato abbastanza previdente da prendere certe precauzioni, allora la forza delle armi potrebbe essere l'unico mezzo con cui uccidere i Ra'zac. Se le cose stanno così...»

«Allora domani vi sarei d'intralcio.»

«Sciocchezze. Magari sarai più lento dei Ra'zac, ma sono sicuro che darai loro motivo di temere la tua arma, Roran Fortemartello.» Il complimento fece piacere a Roran. «Il pericolo maggiore per te è se i Ra'zac o i Lethrblaka riescono a separarti da me e Saphira. Dobbiamo restare uniti per essere tutti più sicuri. Io e Saphira cercheremo di tenere occupati i Ra'zac e i Lethrblaka, ma qualcuno potrebbe sfuggirci. Quattro contro due è una proporzione che va bene solo quando fai parte dei quattro.»

A Saphira Eragon disse: Se avessi una spada, sono sicuro che riuscirei a uccidere i Ra'zac da solo, ma non so se posso battere due creature più veloci degli elfi armato solo di questo bastone.

Sei stato tu a insistere per portare solo quel ramo secco invece di un'arma come si deve, ribatté lei. Ricorda, ti avevo avvertito che non sarebbe bastato contro nemici pericolosi come i Ra'zac.

Eragon a malincuore le diede ragione. Se i miei incantesimi dovessero fallire, saremo molto più vulnerabili di quanto mi aspettassi... Domani potrebbe mettersi davvero male.

Continuando la conversazione a cui era stato ammesso, Roran disse: «La magia è una cosa complicata.» Il tronco su cui era seduto gemette quando raddrizzò la schiena per posare i gomiti sulle ginocchia.

«Già» convenne Eragon. «La parte più difficile è cercare di anticipare ogni possibile incantesimo. Io passo un sacco di tempo a chiedermi come fare a difendermi se verrò attaccato così e se un altro mago si aspetta che faccia cosà.»

«Saresti capace di rendermi forte e veloce come te?»

Eragon rifletté sulla proposta per qualche minuto prima di rispondere. «Non vedo come. L'energia necessaria dovrebbe venire da qualche fonte. Potremmo donartela io e Saphira, ma a quel punto perderemmo tanta forza e velocità quante ne otterresti tu.» Quello che non disse fu che avrebbe potuto assimilare energia anche dalle piante e dagli animali vicini, ma a un prezzo terribile: la morte degli esseri più piccoli da cui si estraeva la forza vitale. La tecnica era un segreto che Eragon non si sentiva di rivelare a cuor leggero. Non sarebbe stata comunque utile a Roran, perché intorno all'Helgrind non c'erano abbastanza piante o animali da poter nutrire il corpo di un uomo.

«Allora potresti insegnarmi a usare la magia?» Quando Eragon esitò, Roran aggiunse: «Non adesso, è chiaro. Non c'è tempo, e io non mi aspetto che uno possa diventare un mago da un giorno all'altro. Ma insomma, perché no? Siamo cugini. Abbiamo lo stesso sangue. E sarebbe un vantaggio preziosissimo.»

«Non so come una persona che non è un Cavaliere possa imparare a usare la magia» confessò Eragon. «Non è una cosa che ho studiato.» Si guardò intorno, raccolse da terra un sasso rotondo e piatto e lo lanciò a Roran, che lo prese al volo. «Tieni, prova con questo. Concentrati e cerca di sollevare il sasso in aria, dicendo "Stenr rïsa".»

«Stenr rïsa?»


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