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Volodyk - Paolini2-Eldest

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 Volodyk - Paolini2-Eldest
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Paolini2-Eldest
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Описание книги "Paolini2-Eldest"

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Roran sospettò con timore che la donna avesse ragione. Dopo aver superato l'Occhio del Cinghiale, avevano veleggiato verso est, oltre le Isole Meridionali, per avvicinarsi alla costa. Entrati nella foce del fiume Jiet, erano arrivati al porto surdano di Dauth. Il tempo di toccare terra e le loro scorte erano oramai esaurite; gli uomini anche. Roran aveva avuto tutte le intenzioni di restare a Dauth, specie dopo aver ricevuto un'entusiastica accoglienza da parte del governatore, ledy Alarice. Ma questo era stato prima di venire a sapere dell'esercito di Galbatorix. Se i Varden fossero stati sconfitti, non avrebbe mai più rivisto Katrina. Così, con l'aiuto di Jeod, aveva convinto Horst e molti altri compaesani che se volevano vivere nel Surda, liberi dall'Impero, dovevano risalire iljiume Jiet per dare man forte ai Varden. Fu un'impresa difficile, ma alla fine Roran prevalse. E una volta che ebbero messo al corrente ledy Alarice delle loro intenzioni, l'alta funzionarla li rifornì di tutto il necessario.

Da allora, Roran si era chiesto spesso se aveva fatto la scelta giusta. Ormai nessuno più sopportava di vivere sulYAla di Drago. La gente era tesa e di malumore, e la situazione era peggiorata dalla consapevolezza di navigare dritti verso una battaglia. È stato puro egoismo da parte mia? si chiedeva. Lo faccio davvero per il bene del villaggio, o soltanto perché mi avvicinerò di un altro passo a Katrina?

«Forse dovevamo» rispose a Elain.

Insieme guardarono un denso strato di fumo raccogliersi nel cielo fino a oscurare il sole, filtrando la luce residua fino a tingere ogni cosa al di sotto di una nauseante sfumatura di arancio. Creava un crepuscolo innaturale come Roran non avrebbe mai immaginato. I marinai sul ponte si guardarono intorno intimoriti e mormorarono scongiuri, mostrando amuleti di pietra contro il malocchio.

«Ascolta» disse Elain, inclinando la testa di lato. «Cos'è?»

Roran tese le orecchie e colse il debole tintinnio del metallo che cozzava contro il metallo. «Quello» rispose «è il suono del nostro destino.» Voltandosi, gridò: «Capitano, una battaglia dritta di fronte a noi!»

«Gli uomini alle baliste!» ruggì Uthar. «Raddoppia il tempo ai remi, Bonden. Ogni uomo abile si tenga pronto, altrimenti userò le vostre budella come guanciali!»

Roran rimase dov'era, mentre l'Ala di Drago esplodeva in un fermento di attività. Malgrado l'aumento del rumore, poteva ancora sentire le spade e gli scudi che si scontravano in lontananza. Ormai si sentivano anche le grida degli uomini, come i ruggiti di qualche bestia gigantesca.

Volse il capo quando Jeod si unì a loro a prua. La faccia del mercante era pallida. «Sei mai stato in battaglia prima d'ora?» gli chiese Roran.

Il pomo d'Adamo di Jeod sobbalzò quando l'uomo deglutì e scosse la testa. «Ho combattuto molte volte al fianco di Brom, ma mai niente del genere.»

«È un debutto per entrambi, allora.»

La cortina di fumo si assottigliò a destra, aprendosi su un panorama agghiacciante di terra scura che eruttava fuoco e fetidi vapori arancione, coperta da una massa di uomini che lottavano. Era impossibile distinguere quali fossero i Varden e quali i soldati imperiali, ma era evidente che la battaglia poteva pendere in qualunque direzione, con la spinta giusta. Possiamo darla noi, quella spinta.

Poi una voce echeggiò sull'acqua quando un uomo sulla riva gridò: «Una nave! Una nave che risale il fiume!» «Sarà meglio che tu scenda» disse Roran a Elain. «Non

è sicuro se resti qui.» Lei annuì e corse al boccaporto di

prua, scese la scaletta e chiuse la botola dietro di sé. Un

momento dopo, Horst balzò sulla prua e porse a Roran uno degli scudi di Fisk.

«Ho pensato che ti servisse» disse Horst.

«Grazie. Ho...»

Roran s'interruppe quando l'aria vibrò, come per una potente esplosione. Thud. I denti gli sbatterono. Thud. Le orecchie gli fecero male per la pressione. Subito dopo il secondo colpo, arrivò un terzo thud e con esso un grido altissimo che riconobbe, perché lo aveva sentito tante volte da ragazzo. Guardò in alto e vide un gigantesco drago color zaffiro scendere in picchiata dalle nubi. E seduto sul drago, a cavallo fra il collo e le spalle, c'era suo cugino, Eragon.

Non era l'Eragon che ricordava. Era come se un artista avesse preso i lineamenti di Eragon e li avesse migliorati, raffinati, resi più nobili e felini. Questo Eragon era vestito come un principe, indossava un'elegante armatura - sebbene insozzata dalla guerra - e nella mano destra brandiva una lama di un rosso iridescente. Questo Eragon, Roran capì, avrebbe ucciso senza esitazione. Questo Eragon era potente e implacabile... Questo Eragon avrebbe potuto distruggere i Ra'zac e le loro mostruose cavalcature, e aiutarlo a liberare Katrina.

Sbattendo le ali translucide, il drago si fermò davanti alla nave. Poi Eragon incontrò lo sguardo di Roran. Fino a quel momento, Roran non aveva creduto completamente alla storia di Jeod su Eragon e Brom. Ora, mentre fissava suo cugino, un'ondata di emozioni contrastanti lo travolse. Eragon è un Cavaliere! Sembrava inconcepibile che il ragazzino smilzo, indocile e smanioso con cui era cresciuto si fosse trasformato in quel temibile guerriero. Vederlo vivo riempì Roran di una gioia inaspettata. Eppure, allo stesso tempo, una terribile, familiare collera gli attanagliò le viscere al pensiero del ruolo che Eragon aveva avuto nella morte di Garrow e nell'assedio di Carvahall. In quei pochi secondi, Roran non capì se amava od odiava Eragon.

S'irrigidì allarmato quando un enorme essere sconosciuto gli toccò la mente. Da quella entità emanò la voce di Eragon. Roran?

«Sì.»

Pensa le tue risposte e io le sentirò. C'è tutta Carvahall con te?

Quasi tutta.

Come avete fatto... No, non possiamo perdere tempo per le spiegazioni. Restate qui finché la battaglia non sarà decisa. Ancora meglio, scendete di nuovo lungo il fiume, fin dove l'Impero non possa raggiungervi.

Dobbiamo parlare, Eragon. Hai molte risposte da darmi.

Eragon esitò, preoccupato, poi disse: Lo so. Ma non ora, più tardi. Senza che gli venisse dato un ordine, il drago si allontanò dalla nave e volò a est, inghiottito dalla nebbia rossastra che aleggiava sulle Pianure Ardenti. Con voce rotta dall'emozione, Horst esclamò: «Un Cavaliere! Un vero Cavaliere! Non avrei mai pensato di vedere quel giorno, e men che mai che sarebbe stato Eragon.» Scrollò il capo. «A quanto pare dicevi la verità, eh, Gambelunghe?» Jeod rispose con un sogghigno, l'espressione raggiante come quella di un bambino.

Le loro parole suonarono mute a Roran, che fissava il ponte con la sensazione di essere pronto a scoppiare di tensione da un momento all'altro. Un'orda di domande irrisolte lo assaliva. Si costrinse a ignorarle. Non posso pensare a Eragon in questo momento. Dobbiamo combattere. I Varden devono sconfiggere l'Impero.

Una marea crescente di furia lo consumò. Aveva già sperimentato quella frenesia scatenata che gli consentiva di superare qualsiasi ostacolo, di spostare oggetti che di solito non riusciva a muovere, di affrontare un nemico in battaglia e non avere paura. Lo afferrò una febbre nelle vene, che gli accelerava il respiro e gli faceva martellare il cuore nel petto.

Si allontanò di scatto dal parapetto, corse per tutta la lunghezza della nave fino al cassero, dove Uthar era al timone, e disse: «Dirigi a terra.»

«Cosa?»

«Dirigi a terra, ti dico! Resta qui con i tuoi uomini e usate le baliste per distruggere tutto quello che potete, impedite all'Ala di Drago di essere abbordata, e proteggete le nostre famiglie con le vostre vite. Chiaro?»

Uthar lo guardò con occhi di ghiaccio, e Roran temette che non avrebbe accettato i suoi ordini. Poi il vecchio lupo di mare borbottò e disse: «Signorsì, Fortemartello.»

I passi pesanti di Horst preannunciarono il suo arrivo sul cassero. «Che cosa intendi fare, Roran?» «Fare?» Roran scoppiò a ridere e si volse di scatto per trovarsi faccia a faccia col fabbro. «Fare? Ebbene, intendo cambiare il destino di Alagaésia!»

Il drago rosso

Eragon quasi non si accorse che Saphira lo stava riportando nel cuore della mischia. Sapeva che Roran era in mare, ma non aveva mai sospettato che si stesse dirigendo verso il Surda, né che si sarebbero rivisti in quel modo. E gli occhi di Roran! Occhi che lo avevano fissato esprimendo dubbio, sollievo, collera... accusa. In essi, Eragon aveva letto che suo cugino Roran conosceva il suo ruolo nella morte di Garrow e non lo aveva ancora perdonato.

Fu soltanto quando una spada rimbalzò su uno dei suoi schinieri che Eragon riportò l'attenzione a quanto accadeva intorno a sé. Liberò un grido selvaggio e calò Zar'roc di taglio, uccidendo il soldato che lo aveva colpito. Criticandosi per essere stato così distratto, chiamò Trianna e disse: È una nave amica. Spargi la voce che nessuno di loro venga attaccato. E chiedi a Nasuada, come favore personale, di mandare alla nave un araldo che spieghi loro la situazione e si assicuri che restino fuori dallo scontro.

Come desideri, Argetlam.

Sul fronte occidentale della battaglia, dov'era atterrata, Saphira attraversò le Pianure Ardenti in pochi grandi balzi, fermandosi davanti a Rothgar e ai nani. Eragon smontò e si presentò al re, che disse: «Salve, Argetlam! Salve, Saphira! A quanto pare gli elfi hanno compiuto su di te quanto avevano promesso.» Al suo fianco c'era Orik. «No, sire, sono stati i draghi.»

«Davvero? Ascolterò con piacere le tue avventure quando questa sporca guerra sarà finita. Sono lieto che tu abbia accettato di entrare a far parte del Dùrgrimst Ingietum. È un onore averti come membro della mia famiglia.» , «L'onore è mio.»

Rothgar sorrise, poi si rivolse a Saphira. «Non ho dimenticato la tua promessa di riportare Isidar Mithrim al suo antico splendore, drago. In questo stesso momento, i nostri artigiani stanno ricostruendo lo Zaffiro Stellato al centro di Tronjheim. Non vedo l'ora che torni come prima.»

La dragonessa inchinò la testa. Manterrò la mia promessa.

Quando Eragon ripetè le sue parole, Rothgar protese un dito tozzo e nodoso, e picchiettò una delle piastre metalliche che le coprivano i fianchi. «Vedo che porti la nostra corazza. Spero che ti sia servita.»

Mi è molto servita, re Rothgar, disse Saphira tramite Eragon. Mi ha protetta da molte ferite.

Rothgar raddrizzò la schiena e levò Volund, uno scintillio feroce negli occhi infossati. «Allora, vogliamo marciare e mettere ancora una volta alla prova il frutto delle nostre forge?» Volse indietro lo sguardo ai suoi guerrieri e gridò: «Akh sartos oen dùrgrimst!»

«Vor Rothgarz korda! Vor Rothgarz korda!»

Eragon guardò Orik, che tradusse per lui con un potente ruggito: «Per il martello di Rothgar!» Unendosi Eragon corse con il re dei nani verso la marea cremisi dei soldati nemici, con Saphira al suo fianco. Con l'aiuto dei nani, le sorti della battaglia volsero dividendole, schiacciandole, costringendo l'esercito conquistato nel corso della mattinata. I loro sforzi furono aiutati dall'effetto sortito dai veleni di Aftgela. Molti ufficiali nemici agivano in maniera irrazionale, dando ordini che rendevano più facile per i Varden penetrare nelle schiere nemiche, seminando morte e distruzione al loro passaggio. I soldati parvero capire che la fortuna non li assisteva più, e a centinaia si arresero, o disertarono per rivoltarsi contro i loro ex compagni, o abbandonarono le armi e fuggirono. E il sole scivolò verso i fulgidi colori del pomeriggio.

Eragon stava combattendo contro due soldati, quando sopra di loro volò un giavellotto fiammeggiante che andò a conficcarsi in una delle tende dei comandanti imperiali, incendiando la stoffa. Liberatosi dei suoi avversari, Eragon guardò indietro e vide decine di proiettili infuocati levarsi dalla nave sul fiume Jiet. Che intenzioni hai, Roran? si chiese Eragon, prima di scagliarsi contro un nuovo gruppo di soldati.

In quel momento, un corno echeggiò dalla retroguardia dell'Impero, poi un altro e un altro ancora. Qualcuno cominciò a battere un potente tamburo, e per qualche istante il campo di battaglia rimase immobile, mentre tutti si voltavano verso la fonte del rumore. Sotto gli occhi di Eragon, una figura sinistra si staccò dall'orizzonte a nord per levarsi nel cielo livido delle Pianure Ardenti. I corvi e gli altri rapaci si dispersero davanti all'ombra nera e frastagliata, che si librava immobile nelle calde correnti ascensionali. Lì per lì Eragon pensò a un Lethrblaka, una delle cavalcature dei Ra'zac. Poi un raggio di luce trapassò le nubi, illuminando di lato la figura.

Un drago rosso fluttuava sopra di loro, sfolgorando nei raggi obliqui del sole come un letto di braci rosso sangue. Le membrane delle sue ali erano del colore del vino visto in controluce. I suoi artigli, le zanne e le aguzze punte dorsali erano bianche come la neve. Gli occhi vermigli sprizzavano terribili bagliori. In sella sedeva un uomo che indossava un'armatura d'acciaio splendente e brandiva uno spadone a una mano e mezza.

Eragon trasalì, sgomento. Galbatorix è riuscito afar schiudere un altro uovo!

L'uomo d'acciaio alzò la mano sinistra e un fulmine di energia rossa crepitò dal suo palmo, colpendo Rothgar in pieno petto. Gli stregoni dei nani gridarono di dolore quando l'energia dei loro corpi fu consumata nel tentativo di fermare l'attacco. Stramazzarono al suolo, morti, mentre Rothgar si stringeva il petto e crollava esanime. I nani ulularono di disperazione vedendo cadere il loro re.

«No!» gridò Eragon, e Saphira ruggì la sua ira. Eragon guardò il Cavaliere nemico con odio. Ti ucciderò per questo. in favore dei Varden. Insieme respinsero le milizie

di Galbatorix ad abbandonare le posizioni che al coro,

imperiali, avevano Ma sapeva che in quel momento lui e Saphira erano troppo stanchi per affrontare un avversario così potente. Guardandosi intorno, Eragon scorse un cavallo riverso nel fango, con una lancia infilata nel costato. Lo stallone era ancora vivo. Eragon gli posò una mano sul collo e mormorò: Dormi, fratello. Poi trasferì dentro di sé e in Saphira gli ultimi residui di energia del cavallo; non bastò a far recuperare loro tutte le forze, ma almeno alleviò il dolore ai muscoli e impedì alle loro membra di tremare ancora.

Rinvigorito, Eragon balzò su Saphira, gridando: «Orik, prendi il comando dei tuoi!» In lontananza, vide Arya guardarlo preoccupata. La scacciò dalla propria mente e si strinse le cinghie intorno alle gambe. Poi Saphira si lanciò contro il drago rosso, agitando le ali a ritmo forsennato per acquistare la necessaria velocità.

Spero che ricordi le lezioni di Glaedr, le disse, impugnando più saldamente lo scudo.

Saphira non rispose, ma ruggì i suoi pensieri contro l'altro drago. Traditore! Distruttore di uova e di giuramenti, assassino! Poi, insieme, lei ed Eragon assalirono le menti dell'altra coppia, cercando di abbattere le loro difese. La coscienza del Cavaliere emanava uno strano sentore, come se contenesse una moltitudine di entità; decine di voci distinte sussurravano nei recessi della sua mente, come spiriti imprigionati che imploravano di essere liberati. Nell'istante in cui entrarono in contatto, il Cavaliere reagì con una scarica di pura energia più violenta di quanto perfino Oromis fosse in grado di richiamare. Eragon si ritrasse dietro le proprie barriere, recitando freneticamente un brano della filastrocca che Oromis gli aveva insegnato per simili frangenti:


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